ANNO 3 – N. 3-4 MAGGIO-AGOSTO 2021
Invitati alla festa
Verrebbe da chiedersi perché fare festa al PAT quando, senza allargare eccessivamente lo sguardo sul mondo, le missioni di Argentina e Perù stanno soffrendo a causa della pandemia e della crisi economica e la Bielorussia brancola nell’incertezza politica e lotta per la libertà.
Perché la gioia dovrebbe essere la quotidianità del cristiano, colui che sa di essere amato dal Padre e salvato dal Figlio.
La festa che dovrebbe abitare i nostri cuori trae la sua linfa viva dalla Risurrezione e si alimenta con la gioia dell’incontro con il Signore e i fratelli, soprattutto i più poveri e dimenticati. Per questo ha senso fare festa.
La gioia è un dovere per il cristiano, un dono da condividere, anche a distanza.
Il nostro ritrovarci intorno a una mensa, il condividere una cena con persone a cui vogliamo bene, con le quali stiamo bene, è un “assaggio” di una fraternità più ampia, universale, a cui Papa Francesco così spesso ci richiama.
Attraverso la cena abbiamo abbracciato Invitati alla festa spiritualmente i poveri del Perù e dell’Argentina: loro erano con noi, sapevano di questi eventi e ci hanno accompagnato con la preghiera e con l’affetto. Nel contempo nel nostro prato la grazia della danza commuoveva i nostri cuori, le parole scavate nel cuore di una giovane missionaria ci hanno fatto scavalcare l’oceano e portati in Perù vicino a bimbi e malati, i videomessaggi raccontavano della miseria dell’Argentina e del riscatto di qualcuno che ce l’ha fatta anche grazie al PAT.
Sì, perché poi la comunione spirituale, la commozione del cuore sono diventate azioni vive e concrete.
Negli splendidi tramonti di quelle tre serate la “festa” ha dato anche importanti frutti materiali che permetteranno al PAT di continuare a svolgere le proprie attività missionarie in questo anno e che già si sono trasformati in un aiuto economico per Argentina e Perù.
I tavoli vuoti della copertina si sono riempiti di persone generose che hanno accolto l’invito alla festa della fraternità.
Monica Monari
Perché la gioia dovrebbe essere la quotidianità del cristiano, colui che sa di essere amato dal Padre e salvato dal Figlio.
La festa che dovrebbe abitare i nostri cuori trae la sua linfa viva dalla Risurrezione e si alimenta con la gioia dell’incontro con il Signore e i fratelli, soprattutto i più poveri e dimenticati. Per questo ha senso fare festa.
La gioia è un dovere per il cristiano, un dono da condividere, anche a distanza.
Il nostro ritrovarci intorno a una mensa, il condividere una cena con persone a cui vogliamo bene, con le quali stiamo bene, è un “assaggio” di una fraternità più ampia, universale, a cui Papa Francesco così spesso ci richiama.
Attraverso la cena abbiamo abbracciato Invitati alla festa spiritualmente i poveri del Perù e dell’Argentina: loro erano con noi, sapevano di questi eventi e ci hanno accompagnato con la preghiera e con l’affetto. Nel contempo nel nostro prato la grazia della danza commuoveva i nostri cuori, le parole scavate nel cuore di una giovane missionaria ci hanno fatto scavalcare l’oceano e portati in Perù vicino a bimbi e malati, i videomessaggi raccontavano della miseria dell’Argentina e del riscatto di qualcuno che ce l’ha fatta anche grazie al PAT.
Sì, perché poi la comunione spirituale, la commozione del cuore sono diventate azioni vive e concrete.
Negli splendidi tramonti di quelle tre serate la “festa” ha dato anche importanti frutti materiali che permetteranno al PAT di continuare a svolgere le proprie attività missionarie in questo anno e che già si sono trasformati in un aiuto economico per Argentina e Perù.
I tavoli vuoti della copertina si sono riempiti di persone generose che hanno accolto l’invito alla festa della fraternità.
Monica Monari